Tokyo2020: medaglie nel deserto, il surf e la spiaggia distopica

Quello che doveva essere il più grande evento nella storia della disciplina si è trasformato in un controsenso: mare, onde e tavole da sempre creano empatia con chi guarda, meglio pensare a Thaiti e al 2024

di Roberto Parretta

U

na delle location più belle per l'esordio olimpico del surf: la spiaggia di Tsurigasaki, a una sessantina di chilometri a sud di Tokyo, si presenta con un panorama mozzafiato, reso ancora più affascinante dalle condizioni del tempo, che, con l'avvicinarsi di una tempesta tropicale, ha regalato ai campioni in acqua anche grandi onde da cavalcare. Prima di tornare a condizioni più "normali" per la giornata delle finali.

Una location meravigliosa, che però, complici le condizioni in cui si sta svolgendo l’Olimpiade di Tokyo 2020, ha reso l’evento simile a un film distopico. Una spiaggia enorme, ma deserta, un maxischermo gigantesco, vento che spazza la sabbia e le bandiere e nuvole minacciose nel cielo, le aree destinate al pubblico, che era atteso in enorme quantità, e agli stessi surfisti e ai loro staff, per lo più deserte.

Spiaggia di Tsurigasaki a Sud di Tokyo

Le medaglie, innanzi tutto: i primi ori olimpici nella storia del surf sono andati alla statunitense Carissa Moore (28 anni, 4 volte vincitrice della World Surf League) e al brasiliano Italo Ferreira (27 anni, campione del mondo nel 2019). Nel femminile, poi, argento alla sudafricana Bianca Buitendag e bronzo alla giapponese Amuro Suzuki, nel maschile argento al giapponese Kanoa Igarashi e bronzo all’australiano Owen Wright.

Carissa Moore - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Italo Ferreira - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Italo Ferreira - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Bianca Buitendag - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Amuro Suzuki - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Kanoa Igarashi - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020
Owen Wright - Surf, Olimpiadi Tokyo 2020

Ma cosa compariva davanti ai loro occhi quando chiudevano la loro mezz’ora in acqua a cercare di prendere le onde? Praticamente niente. L’area allestita dalla federazione internazionale e ribattezzata “Surfing Festival”, voluta per dare connotati unici, speciali al grande evento, con grandi ombrelloni, amache e musica, praticamente sempre vuota. La grande passerella che collega il Surfing Festival con la spiaggia? Sempre vuota. Praticamente, a quello che doveva essere lo storico evento del surf, hanno tolto l’anima. Ovvero, la gente. E’ vero, accade lo stesso in tutti gli impianti. Ma per una disciplina così particolare, resa speciale dall’empatia che si genera tra pubblico, appassionati e campioni, e che oltretutto fa il suo debutto olimpico, è diverso. «Doveva essere l’evento di surf più grande della storia, ma senza pubblico è una pena», aveva detto nei primi giorni di gare proprio Igarashi. Gli fa eco Fernando Aguerre, il presidente della federazione internazionale: «Se avessero almeno fatto entrare il pubblico giapponese… ma evidentemente dobbiamo rispettare queste decisioni».

Tokyo 2020 ormai è già alle spalle, si pensa già alle prossime edizioni: nel 2024 il surf non sarà a Parigi, ma a Thaiti, a Los Angeles 2028 non stiamo nemmeno a dirlo, a Brisbane 2032 la sede sarà la spiaggia di South Bank. Insomma, il modo di rifarsi ampiamente ci sarà. Basta aspettare.

Ho iniziato ad appassionarmi di sport dalla nascita e da 20 anni sono collaboratore della Gazzetta dello Sport. Ho seguito tantissime discipline: principalmente rugby (corrispondente in 3 edizioni dei Mondiali in Francia, Nuova Zelanda e Inghilterra e tutti i Sei Nazioni dal primo del 2000), poi fra gli altri equitazione, taekwondo, surf, atletica leggera e ovviamente anche nuoto. I miei risultati sportivi di maggior rilievo? Ultimo nelle batterie dei 50 stile libero al memorial Boscaini del 1985 e medaglia di bronzo al Settecolli 2019 nei 50 stile dei giornalisti!

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