
La stella dell’NBA e dei San Antonio Spurs e la carriera mancata nel nuoto: gli azzurri lo incrociarono in collegiale nel 1987
di Roberto Parretta
n raduno collegiale alle US Virgin Islands, nei Caraibi, gennaio 1987. In vasca gli azzurri del nuoto, che dividono le corsie con i ragazzi dei St. Croix Dolphins, la squadra locale della piscina di St. Croix.
Fra questi, un ragazzino molto alto che ha solo 11 anni: anzi, per la sua età è già altissimo. Nel nuoto, come in altri sport, l’altezza e altre doti fisiche naturali fanno molto in età giovanile, prima che ci si metta a lavorare seriamente e duramente su struttura e tecnica. Quel ragazzino si chiama Timothy, il suo sogno è andare alle Olimpiadi e ancora non sa che un giorno si realizzerà: anche se in un altro sport. Perché quel ragazzino è Tim Duncan.


Del gruppo italiano faceva parte Fabrizio Rampazzo, che conserva ancora oggi dei ricordi precisi: «Il ragazzino restava a guardare i nostri allenamenti con gli altri suoi compagni e alla fine del raduno ci chiese anche gli autografi». Forse sarebbe stato il caso di chiedere un autografo anche a Timothy, ma chi si sarebbe immaginato di ritrovarselo stella di assoluta grandezza nell’NBA? «Mi era rimasto impresso per l’altezza e per un particolare modo di ciondolare fuori dalla vasca.
Identico, sebbene con la stazza fisica di atleta evoluto, a come poi lo avremmo visto muoversi nei campi NBA, vincendo 5 titoli con i San Antonio Spurs».

In un drammatico 17 settembre 1987, l’uragano Hugo si abbatte su St. Croix e distrugge la piscina dove si allena la squadra di Duncan. Lui, che secondo gli allenatori ha margini di crescita che lo potrebbero proiettare a giocarsi un posto per i Giochi del 1992, passando attraverso i trials statunitensi, avrebbe voluto insistere nel nuoto e seguire le orme della sorella Tricia, che parteciperà a 100 e 200 dorso all’Olimpiade di Seoul 1988. C’è tuttavia un problema: a St. Croix ci si allena anche nell’oceano e Tim ha paura degli squali. Il suo coach è Michael Lohberg (seguirà la campionessa americana Dara Torres), che lo lascia spaziare tra 100 e 400 stile libero, ma che gli ha anche suggerito di provare con il basket. A fargli cambiare definitivamente strada è però la mamma, alla quale promette in punto di morte di non allenarsi più nell’oceano. E così, senza piscina e senza la possibilità di allenarsi in un altro modo, la virata lo porta al basket. E agli Spurs, pescato nel college dal mitico coach Gregg Popovich: insieme ai San Antonio Spurs tra il 1997 e il 2016 vinceranno 5 volte il campionato NBA. Un infortunio lo taglierà fuori dai Giochi di Sydney 2000, dove il Dream Team vince l’oro, per poi partecipare a quelle di Atene 2004: una spedizione chiusa “solo” con la medaglia di bronzo. Un sogno olimpico realizzato a metà. Duncan ha giocato 1392 partite in stagione regolare NBA: ne ha vinte più di mille. In attacco ha messo a referto più di 26 mila punti, in difesa più di 3 mila stoppate: mai una volta che abbia urlato, o agitato i pugni, o sventolato un dito verso pubblico o avversari.


I media statunitensi si sono a lungo chiesti quanto sarebbe stato “veloce” Tim Duncan come nuotatore e durante le Olimpiadi di Rio 2016 alcuni giornalisti hanno prospettato qualche ipotetico scenario, considerando che «tutti sapevano che (Tim) fosse un fantastico nuotatore age group (categorie giovanili USA) prima che l’uragano Hugo distruggesse l’unica piscina da 50 metri del piccolo centro di St. Croix». Si poneva però un dilemma: “Ci sono riscontri del cronometro? Qualcuno conosceva i suoi tempi?”. Fabrizio Rampazzo e gli altri azzurri qualcosa avevano intuito: «Innanzi tutto, non ti capita tanto spesso di vedere un nuotatore così alto e poi a quell’età. Avevamo sentito di tempi non particolarmente impressionanti, come 32”8 sui 50 stile libero, sebbene solo a 9 anni. Ma non era difficile ipotizzare un miglioramento con il lavoro, visto che la base fisica era di tutto rispetto. Dove sarebbe potuto arrivare? Uno con quei mezzi nella sua maturità sarebbe stato all’altezza di Michael Phelps o Ryan Lochte, posso garantirlo. Ma ciò che veramente ci interessa è l’ispirazione e la consapevolezza che il giovane atleta ha guadagnato con l’amore per l’acqua e il nuoto».

Ma ancora più importante è il fatto che la squadra dei St. Croix Dolphins ha oggi un numero di atleti maggiore di quanti ne abbia mai avuti in passato e il governo delle US Virgin Islands supporta le attività di nuoto di base con dei finanziamenti importanti: queste sono le notizie che ci piacciono!