Il lago maledetto che “pietrifica” gli animali: realtà o leggenda?

di Manuel Gavini

I

n Tanzania settentrionale esiste un posto conosciuto ai più per un motivo decisamente particolare: si tratta del lago Natron, la cui esistenza è avvolta nel mistero da sempre, o almeno da quando si dice che pietrifichi gli esseri viventi.

Nel corso del tempo, infatti, l’attenzione di studiosi ed esploratori è stata catturata dalla scoperta di innumerevoli carcasse animali lungo le sponde di questo bacino salino, situato – con la sua enorme superficie di 1.040 chilometri quadrati – vicino al confine keniota, a 600 metri di altitudine. 

Nell’indagine che segue proveremo a scoprire le radici di tale enigma, per dirimere l’annoso quesito che l’accompagna: si tratta di realtà o leggenda?

Prima di rispondere a questa domanda, bisogna innanzitutto muovere da un’analisi chimica dell’acqua, ricca di carbonato di sodio (noto anche, per l’appunto, come natron), minerale capace di disidratare e “imbalsamare” tutti coloro che si immergono.

Determinante in questo senso è la presenza dell’imponente Ol Doinyo Lengai, vulcano situato a sud del lago, nei pressi della Rift Valley, il cui nome significa “montagna di Dio”: esso il vulcano erutta natrocarbonatite, una rara lava che, sprigionando calcare magmatico, contribuisce nocivamente al vertiginoso aumento della salinità delle acque.

Nel tempo, il lago salato ha assorbito anche altri minerali dalle colline circostanti – come la soda caustica, che tende a sedimentarsi sugli argini come se fosse schiuma di mare – rendendo l’acqua fortemente alcalina, con un pH compreso tra 10.5 e 12. In queste condizioni il lago si trasforma in un bacino mortale, capace di bruciare la pelle e gli occhi della maggior parte dei malcapitati animali che finiscono per nuotare al suo interno. 

Le acque possono facilmente raggiungere una temperatura di 60°C, con coaguli di sale affilati come rasoi e la certezza di uscirne non senza ustioni fatali. È dunque l’alcalinità delle acque che rende così pericoloso il lago Natron e ciò è dovuto in primis al carbonato di sodio che, non a caso, veniva utilizzato nell’antico Egitto per la mummificazione.

Stessa sorte che sembrano patire gli esseri viventi affogati nel lago, come confermano gli scatti di turisti ed esperti che li immortalano intrappolati per sempre nella posizione dei loro ultimi istanti di vita. Qualche anno fa, osservando diversi esemplari di uccelli adagiati sulle rive del lago maledetto, il fotografo naturalista Nick Brandt realizzò un’inquietante rassegna fotografica, esposta alla Hasted Kraeutler Gallery di New York.

Le uniche creature – peraltro in via d’estinzione – capaci di sopravvivere, adattarsi e prosperare in questo scenario sono alcuni piccoli pesci tipici della specie alcolapia alcalica e, tra gli uccelli, il fenicottero minore, in grado di nutrirsi di alghe spiruline dalle lagune circostanti e filtrare le acque alcaline grazie allo strato protettivo di becco e gambe. Oltre a loro, solo batteri e cianobatteri possono riprodursi velocemente, con un sistema molto simile alla fotosintesi clorofilliana. Questi microrganismi unicellulari, peraltro, che contengono un pigmento che conferisce all’intero lago una particolare tonalità di rosso scuro con striature bianche.

In conclusione, per rispondere al quesito di partenza con buona pace degli amanti del mistero, il mito del lago Natron va sfatato: esso non mummifica gli esseri viventi, semplicemente perché le creature finite nelle sue acque avevano già perso la vita prima di essere “pietrificate”. Infatti, è la stessa salinità dell’acqua – che insieme alla sua alcalinità rappresenta la causa principale di questo disastro, specie quando la stagione è calda e asciutta – a risultare il fattore determinante per la conservazione dei resti animali, cristallizzando le loro ultime pose al punto da farle sembrare statue imbalsamate.

Resta comunque uno dei più pericolosi laghi del mondo, quindi attenzione a dove poggiate i piedi quando andate ad ammirare il meraviglioso panorama che offre quello splendido lembo di terra!

Mi chiamo Manuel, ho 33 anni e osservo da sempre con interesse ogni forma acquatica generosamente offerta dalla natura. Laureato con lode in Relazioni Internazionali nel 2012, dal gennaio successivo sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Il mio hobby preferito è viaggiare, ovunque, ma quando devo scegliere tra mare e montagna non ho dubbi: il richiamo dell’acqua è troppo forte! In questa foto mi trovo a Capri, durante la mia ultima vacanza "on the blue", immerso nell’inestimabile panorama con vista Faraglioni.

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La parola acqua deriva dal latino “aqua”, che a sua volta ha una radice indoeuropea, la stessa della parola onda, che passando dal greco diventa “unda” in latino.

Acqua e onda: ovvero identica radice linguistica per due elementi che non possono esistere l’uno senza l’altro. 

 

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