
La 22enne livornese è allenata dal babbo e agli Assoluti di Riccione ha conquistato il pass olimpico: «Quando ho visto il tempo non ci credevo»
di Roberto Parretta
In acqua mi sento leggera». Leggera, ma anche solidissima. E matura. É con queste caratteristiche che Sara Franceschi ha conquistato Tokyo: un pass olimpico arrivato grazie al 4'37"06 con il quale la 22enne livornese ha vinto la finale dei 400 misti nella prima giornata dei recenti campionati assoluti di Riccione.
«Il primo obiettivo – ci racconta – era vincere la finale e qualificarmi per l’Europeo di Budapest, quindi in testa avevo quel tempo quando ho guardato il cronometro. Ma quando ho realizzato che avevo fatto anche il tempo per Tokyo mi è salita una grandissima emozione e ho quasi pianto, una cosa che non mi succede mai»

La sorpresa ulteriore è stata quella di avere conquistato il pass per i Giochi nella distanza meno preferita, visto che puntava a ottenerlo nei 200 misti, in programma l’ultimo giorno. Che la rappresentante di Livorno Aquatics e Fiamme Gialle ha vinto sempre con un nuovo primato personale (2’11″57) ma senza il limite olimpico. «É vero, è arrivato nella gara che pensavo più difficile, visti i miei tempi e visti gli allenamenti. Mi resta un po’ di amaro in bocca per i 200 perché pensavo di fare qualche decimo in meno. I 200 li ho sempre fatti più volentieri, i 400 con più fatica. Dove ho trovato i decimi per il tempo? Nel dorso e soprattutto nella rana, la frazione dove sono andata meglio». Vicino aveva il riferimento di Ilaria Cusinato, la sua principale rivale nei misti negli ultimi anni: «Già vedermi accanto a lei nel delfino mi ha incoraggiato, ho pensato che dovevo spingere di più per provare a staccarla. Quando ho visto che ci riuscivo ho realizzato che stavo andando forte, d’altronde le sensazioni erano ottime. Questi pensieri mi hanno aiutato». E alla pista d’arrivo, prima ha guardato il tempo, poi ha cercato Stefano, l’allenatore/papà a bordo vasca: «Con la coda dell’occhio ho guardato il babbo…».


Che era più emozionato di lei… «Quando ho visto il 38″8 della prima frazione – racconta il papà coach Stefano Franceschi – ho subito capito che sarebbe arrivato un tempo eccezionale, avevo fatto una stima dei passaggi, dopo la batteria della mattina le avevo chiesto solo di mettere a punto dei dettagli, così alla fine è venuto fuori un tempo che io ritenevo alla sua portata». E anche per il babbo questa qualificazione olimpica ha un “peso” diverso rispetto a quella che la figlia ottenne nel 2016. «Innanzi tutto perché questa l’ho vissuta direttamente dall’acqua, nella gara dove le si chiedeva di fare il tempo. Mi sono molto emozionato. É stato diverso da Rio perché in quel caso la qualificazione arrivò a giugno nonostante avesse mancato il tempo, ma l’aveva conquistata grazie a un super Europeo».
Se un rapporto tra allenatore e atleta è di solito caratterizzato da mille sfaccettature, non possiamo immaginare quello tra allenatore/babbo e atleta/figlia: «Come per tutti gli altri bambini, quando aveva 4 anni ho lasciato che fosse il suo allenatore a insegnarle a nuotare. A 6 anni Sara è entrata negli esordienti e ha iniziato il suo viaggio. Faceva anche danza, dice che non era portata, ma secondo me è stata propedeutica per alcune caratteristiche fisiche, penso alle caviglie per esempio. Lei ha proseguito il suo percorso nelle categorie giovanili, poi quando è diventata junior è entrata in prima squadra con me. Non le abbiamo fatto bruciare le tappe, io sapevo che poteva fare già i doppi allenamenti a 14 anni, ma è accaduto solo nell’anno dell’Olimpiade e solo per due volte a settimana. I doppi veri sono iniziati quando ha finito scuola. É anche giusto che i ragazzi abbiano altri interessi, non ci si può focalizzare solo sullo sport. Ogni percorso ha bisogno dei suoi tempi. Bisogna sempre avere pazienza, soprattutto con quegli atleti che hanno determinati doti, gli va trasmessa serenità». Ma Stefano e Sara litigano a bordo vasca? «Vale per lei quello che vale per qualsiasi altro atleta: quando vedo le cose fatte male o non vedo quello che chiedo mi fanno incavolare di brutto, mi viene il mal di stomaco. Quando invece vedo in acqua quello che chiedo è importante saper dare le giuste rassicurazioni».

L’ultimo anno per Stefano Franceschi, per Sara e per tutto il loro gruppo, oltre alla questione Covid, ha offerto altre problematiche, a cominciare dalla mutazione della loro società: «Eravamo Nuoto Livorno, la società era mia e di Carlo Chelli, poi è diventata Nuoto Livorno Sport Management, infine lo scorso settembre ci siamo unito con l’altra società livornese Team Acqua Sport ed è nata Livorno Aquatics, nella quale siamo confluiti con Tommaso Morini e Riccardo Balzano, gli altri due soci. Siamo 500 persone tra nuoto, pallanuoto, sincro e triathlon. Le piscine Camalich e Neri, una da 50 metri e l’altra da 25, sono a gestione del Comune, che grazie al sindaco Luca Salbetti hanno riaperto il 19 ottobre. La nostra stagione era invece iniziata a settembre allo Sport Village di San Rossore a Pisa». Sara prima di provare il nuoto, «senza l’imposizione del babbo», tiene a specificare, aveva provato anche altro: «La danza… Ma non faceva per me, andavo sempre dalla parte sbagliata. Poi anche per le amicizie, in prima media ho deciso di fare solo nuoto. Che è uno sport molto impegnativo sin da piccoli. Ma mi è sempre piaciuto, mi sono sempre divertita tanto in piscina. Il babbo ha sempre lasciato che fossi io a decidere, così come mio fratello, passato anche lui al nuoto dopo il calcio. Quando ero piccola non mi allenava ovviamente lui, ma poi quando sono entrata nella squadra junior sono passata nelle sue mani». E il babbo a bordo vasca diventa Stefano, come per tutti gli altri: «Ci siamo trovati bene da subito, magari quando sono mancati i risultati c’è stato qualche momento di crisi, ma lui mi ha sempre gestita nel migliore dei modi, ha sempre fatto il possibile per darmi il meglio e farmi stare tranquilla. Ora non vivo più con i miei, ma siamo sempre molto uniti. Quando ci arrabbiamo? Inizialmente ci ignoriamo, poi qualcuno fa il primo passo, più spesso lui…».

Dal babbo Stefano alla figlia Sara Franceschi, quello che c’è in comune è l’amore per l’acqua: «Mi ci sento benissimo, mi dà una sensazione di leggerezza, di morbidezza, di elasticità», dice Sara. Stefano, che nei misti ha il marchio di fabbrica della sua filosofia, aggiunge: «Nel mio lavoro do la precedenza alla tecnica, preferisco sempre far nuotare lento ma bene. Dico sempre ai ragazzi che le gare si vincono da stanchi. Sin dal primo giorno cerco di far capire che la tecnica aiuta a risparmiare energie. Dal primo metro in acqua chiedo morbidezza, l’atleta deve sentirsi avvolto dall’acqua. La filosofia che mi accompagna da sempre si basa sull’insegnare nuoto nei suoi 4 stili a tutti. Poi l’allenatore conta fino a un certo punto, il 95 percento lo fa la testa dell’atleta». E chissà che testa e leggerezza non possano diventare la chiave per provare l’impresa di famiglia a Tokyo.