
di Martina Grandori
uando si ha l’occasione di parlare di talenti italiani, di giovani intelligenti e laboriosi, è sempre una grande soddisfazione. Succede a Sassari, lì il mare è un credo e il mare in questi decenni sta soffrendo moltissimo a causa di quel mare di plastica che sta facendo stragi. Si stima che oggi, nel mondo, si producano quasi 400 milioni di tonnellate di plastica all’anno, quasi 53 kg a persona, poco più del 20% ha una seconda chance, il restante finisce in mare, dove galleggiano 150 milioni di tonnellate di plastica.


Da questi dati, dall’amore per la loro Sardegna, cinque studenti dell’Università di Sassari – ciascuno proveniente da facoltà diverse – hanno dato vita a Relicta, un’ambiziosa start up, che ora è ancora in fase embrionale, che scommette sul recupero e riciclo degli scarti del pesce per produrre bioplastiche decomponibili nell’acqua.



Loro sono Davide Sanna, Matteo Sanna, Andrea Farina, Mariangela Melino e Giovanni Conti, si sono conosciuti nel 2017 durante il concorso universitario Contamination Lab, si sono soprattutto piaciuti, hanno unito le loro diverse attitudini e abilità e fondato Relicta, la grande scommessa è partire con la produzione industriale di bioplastica fatta con gli scarti del pesce, perfetta sintesi di economia circolare che ormai è il futuro, se un futuro alla Terra lo vogliamo dare.

Quale nome migliore di Relicta, dal latino “abbandonato, non utilizzato”?
Infatti tutto ruota attorno al concetto di recupero di qualcosa che verrebbe gettato: pelle e lische – assolutamente non testa e carne – dei pesci di allevamento e non solo.
«Abbiamo due tipi di scarto con cui produciamo in laboratorio la bioplastica -spiega Davide Sanna, il chimico del gruppo, intervistato al telefono – Quelli provenienti dal salmone di una multi nazionale capace di garantire massicci approvvigionamenti di scarti ittici. Da 1 chilo di scarti si ottengono 300 grammi di bioplastica, che verrà poi riutilizzata per il packaging di questa stessa azienda che commercia salmone».
Fondamentale per essere competitivi, è riuscire a garantire una certa produzione, per questo il secondo tipo di scarto utilizzato da Relicta per produrre la sua bioplastica è quello della Tilapia, il pesce più consumato al mondo e paradossalmente anche il meno conosciuto, che vive in acque tropicali in Africa, Sud America e Asia.
Per questo, pensando al futuro produttivo, il team di Relicta sta guardando al Sud Est Asiatico, dove l’approvvigionamento della materia prima, ossia gli scarti ittici, è sicuramente più facile, ma dove però allo stesso tempo dovrà essere gestito il problema dei costi di trasporto della bioplastica.
Un nodo ancora non sciolto, per ora la piccola produzione è gestita nel laboratorio all’interno della facoltà di Chimica e Farmacia dell’Università di Sassari.

«In Italia, per nostra cultura e tradizione consumiamo molto pesce, ma pesce fresco, sarebbe quindi molto complesso riuscire a effettuare una raccolta in giusta misura di scarti ittici. Per questo, al momento ci siamo orientati sugli scarti provenienti da acquacoltura, i cui quantitativi possono soddisfare le nostre necessità di produzione» riferisce Davide Sanna.
Ad oggi il costo al chilo degli scarti varia dai 0,20 € a 1,5 €, i margini di guadagno ci sono eccome e il futuro dell’imprenditoria è sicuramente diretto verso queste attività circolari come Relicta.
Una bioplastica trasparente dai diversi impieghi, infatti, come spiega Davide Sanna «in base all’impiego di additivi, ovviamente bio, si ottengono bioplastiche più o meno morbide oppure più o meno rigide»

Si va dal film per il packaging degli alimenti, ai cosmetici, alle device elettroniche, anche se la grande scommessa è soprattutto il sottovuoto, nuova frontiera dell’utilizzo di questo materiale. Relicta, fra i vari utilizzi, è anche una pellicola termosaldabile per mettere sottovuoto i prodotti più delicati, dalle mascherine chirurgiche al il cibo da conservare, ai medicinali, questa plastica mantiene intatte per 12 mesi le sue proprietà isolanti.
Ma la notizia più bella è che in 20 giorni si degrada nel mare senza lasciare traccia o fare danni, merito di quel comportamento simile al sale quando viene a contatto con l’acqua, ossia si dissolve.

