di Martina Grandori
lasse 1981, milanese, una laurea nel 2004 in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano e una grande passione, la fotografia. Jacopo Di Cera, inizia a lavorare come responsabile marketing Procter and Gamble per dieci anni, ma la sua passione è la fotografia. La studia a Roma da Officine Fotografiche affiancandosi a grandi fotografi come Massimo Ciampa, Oliviero Toscani (un incontro che gli ha cambiato la vita), Uwe Ommer, firma negli anni Settanta del calendario Pirelli, con i quali ha modo di imparare, sperimentare e di confrontarsi.
Nel 2010 vince il terzo posto al concorso di National Geographic con un reportage fatto alle Isole Galapagos. Lo abbiamo intervistato, e a proposito di mare, da milanese che non ha la spiaggia sotto casa, dice con tono entusiasta “il mare è vita, è il luogo dove arrivare, è un approdo”. Prende spunto da Ulisse, per lui navigare era cavalcare curiosità e interessi. “Ma il mare non è solo speranza e vita, è anche morte” commenta Di Cera che al delicato tema dell’immigrazione dedica nel 2016 il suo primo progetto “Fino alla fine del mare”.
L’artista si trovava a Lampedusa e iniziò a scattare le foto dei barconi dei migranti ammassati su un campo da calcio, cerca di trovare il positivo anche nella tragedia. “Questi scatti raccontano di un brutto che diventa bello, colori, trame, giochi di elementi diventano una narrazione contemporanea”. E così è. “Fino alla fine del mare” sono 60 immagini fotometriche stampate su legno e spalmate di resina per rievocare l’idea di acqua, 6 le parole chiave – viaggio, isola, speranza, lotta, ritorno, legame – declinate ciascuna in dieci scatti.
Il lavoro ha girato tutta l’Europa, suscitando non poca attenzione, un’interpretazione del viaggio dell’uomo, l’Ulisse, che si ritrova anche nei migranti che intraprendono il viaggio della salvezza. Nel 2019 è la volta di “Italian Summer”: in maniera diversa, parte anche stavolta dal mare, dai litorali italiani. È l’umanità in vacanza, è lo specchio di chi e come siamo. 40 immagini, uno spaccato sociale dell’Italia contemporanea che trova nelle spiagge gremite, nelle calette affollate di vacanzieri quella perdita di identità. Le prime le scatta con un drone a Procida, a catturare la curiosità di Di Cera una macchia di persone sulle barche che mangiano l’immancabile parmigiana sotto il sole cocente dello zenith.
“Ho scelto il sole feroce, ho scattato fra le 11 e le 14 proprio per documentare quell’autentica italianità che al mare, sudata, accaldata e provata dal caldo, non rinuncia ad un simbolo nazionale come la parmigiana”. L’estate, i litorali e questi riti diventano il comune denominatore di massa. L’estate è il momento dell’anno in cui gli italiani annullano le differenze sociali in nome della tintarella di gruppo, il cinema l’ha raccontata in tutte le sue sfumature e continua ad essere un topos della nostra identità sociale.
Dopo Procida ha iniziato a mappare tutto il Bel Paese, cercando sempre quel binomio territorio e italianità in vacanza. Territori peculiari non solo per la bellezza dell’acqua, ma per disastri ambientali come nell’opera “Fake heaven”. Sono le spiagge Bianche di Rosignano, famose per quella sabbia caraibica in Maremma che in realtà è frutto degli scarichi della fabbrica di bicarbonato della multinazionale belga Solvay.
In questa zona l’incidenza del tumore è molto più elevata ma nonostante questo le persone affollano questo litorale. Alla domanda qual’è il mare italiano preferito, risponde con entusiasmo il Giglio. “Mi sono innamorato di questo luogo sebbene abbia una moglie campana che mi ha fatto conoscere una Costiera speciale. Un gioiello che conserva un senso di non modernità voluta”.