Un arcipelago di plastica: il progetto artistico dello “Stato-spazzatura”

di Redazione

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n immenso arcipelago composto da 16 milioni di chilometri quadrati di plastica che galleggia nei nostri oceani, inquinandoli tutti i giorni: è questo il soggetto protagonista del The Garbage Patch State, opera di Maria Cristina Finucci, che ritrae la “terra desolata” descritta dall’autrice nel richiamare Thomas Eliot e della quale la stessa architect designer si è autoproclamata fondatrice, nonché presidentessa, ambasciatrice e cittadina al tempo stesso. Un’enorme impresa artistica, resasi imprescindibile nelle sue intenzioni per divulgare con forza la necessità della tutela marina.

Maria Cristina Finucci

Entro il 2050 il peso della plastica negli oceani sarà maggiore di quello di tutti i pesci: un dato che è servito da stimolo per creare uno “Stato-spazzatura” fittizio ma non troppo, visto che il progetto transmediale Wasteland ha ottenuto il riconoscimento dall’UNESCO, con tanto di bandiera (azzurra come il mare con vortici rossi a indicare i rifiuti), capitale (Garbaland) e costituzione. Se fosse reale, una tale distesa di isole composte da microplastiche configurerebbe la nazione più grande del pianeta: quando si dice la realtà che supera l’immaginazione.

Irina Bokova, Cristina Finucci and the Italian Ambassador to UNESCO Maurizio Serra

Pur avendo realizzato installazioni giganti e artisticamente molto valide, «il mio sogno – ammette la Finucci – è che questo Stato sparisca per sempre». Pura utopia al momento, ma proprio per questo è indispensabile combattere il dramma con ogni iniziativa possibile. Ecco perché Cristina ha portato il suo capolavoro nelle sedi istituzionali di tutto il mondo: alla Biennale di Venezia, sulla Gran Via a Madrid e nella sede ONU a New York, solo per citarne alcune.

The Garbage Patch State, New York

L’immagine tangibile del The Garbage Patch Statea metà strada tra un’opera d’arte e un “manifesto-denuncia” – da un lato richiama la Leonia sommersa dai rifiuti di Italo Calvino e, dall’altro, rappresenta una trovata necessaria per ispirare consapevolezza a coloro che (colpevolmente) non hanno ancora preso realmente coscienza delle devastanti proporzioni del problema, provocato dall’inadeguato circuito di smaltimento delle plastiche e dalla dispersione dei loro detriti negli oceani.

Oltre all’annoso sostegno dell’UNESCO e delle principali organizzazioni internazionali, il progetto ha trovato naturalmente supporto anche nel Ministero dell’Ambiente italiano, che oltre ai cicli di installazioni ha promosso performance, video e ogni tipo di iniziativa per alimentare l’idea visiva – quell’identificazione iconica di un enorme Stato federale composto da bottiglie di plastica, tappi, buste e bicchieri – e soprattutto per fornire autorevolezza a un’opera molto più che simbolica.

«Non pensiate che ne sia orgogliosa, ma qualcuno deve pur parlarne – ha precisato la Finucci nel corso di un evento alla FAO, in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani – Il tema della sostenibilità ambientale è cruciale per la nostra sopravvivenza e credo sia inevitabile che gli artisti tentino di fornire chiavi di lettura per non far spegnere i riflettori sul degrado del pianeta, la siccità, il cambiamento climatico e le diseguaglianze». L’obiettivo è sempre associare un’immagine artistica a un problema solo apparentemente invisibile, ma più che mai presente e indifferibile.

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