Alla scoperta della Pompei sommersa: le piscine termali di Baia

di Redazione

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el golfo di Napoli, a pochi chilometri da Pompei e dal Vesuvio, si erge un sito archeologico subacqueo tra i più sorprendenti dell’intero pianeta. Si tratta della perduta città di Baia, luogo esclusivo dell’Impero Romano dal I secolo a.C. fino alla catastrofe che la colpì nel IV secolo d.C.: mezza città affondata sotto le onde e dimenticata per centinaia di anni.

Il team internazionale di scienziati, storici e archeologi, che insieme a nutrite squadre di ricerche subacquee ha documentato e studiato le rovine, ne ha stimato una grandezza tre volte superiore a Pompei: ben 177 ettari di strutture archeologiche, tra strade, manufatti in mattoni quadrati incastonati in diagonale, mosaici mozzafiato, pavimenti in marmo pregiato, statue e il celeberrimo ninfeo di Punta Epitaffio.

Tacito narrava che Baia fosse la meta preferita dell’Imperatore Nerone quando intendeva soddisfare le sue sadiche fantasie.

Nonostante fosse definita a tutti gli effetti una città, a Baia non furono individuati edifici pubblici: nessun foro, tempio o mercato, solo resti di lussuose ville per quella che in molti hanno ribattezzato la “Beverly Hills dell’antica Roma”. Nuotando tra i suoi resti, furono scoperti complessi inizialmente riconducibili a semplici serbatoi d’acqua, strutture di oltre cento metri quadrati apparentemente poco importanti che sembravano rivelarsi vasche per la piscicoltura, su cui i benestanti proprietari delle ville di Baia potevano contare per i propri allevamenti ittici, garantendosi un costante rifornimento di pesce fresco. In realtà, come si vedrà di seguito, non tutte avevano esattamente questa funzione…

Città di Baia - Pompei
Città di Baia - Pompei

Se, da un lato, l’evento catastrofico portò più della metà della città ad affondare a poco a poco in mare, dall’altro va rilevato che esso – paradossalmente – non solo preservò la storia di Baia, ma addirittura la amplificò, rendendola immortale. La sciagura fu dovuta alla sua collocazione geografica su uno dei territori più attivi della Terra, circondato da 24 vulcani tra cui il Vesuvio e la Solfatara. La pressione della lava fece muovere il terreno con conseguenze devastanti, che portarono allo svuotamento delle camere di roccia fusa e gas sotterranei, facendo sprofondare per bradisismo il terreno sovrastante di una ventina di metri. Da allora, le camere sotterranee continuarono pian piano a riempirsi nuovamente di lava e gas, facendo risalire il terreno e riportando la città più vicina alla superficie dell’acqua.

Baia, Città sommersa - Pompei

Un altro clamoroso paradosso è che proprio queste forze vulcaniche distruttive crearono in primo luogo quella che sarebbe divenuta l’attrazione principale di Baia: aree come questa, ricche di attività idrotermale, sono infatti sorgenti calde naturali, poiché l’acqua di falda viene riscaldata fino al punto da diventare un fiume bollente, immergendosi nel quale si può godere di un rilassante bagno. Era proprio in questo modo che il calore di tali sorgenti vulcaniche veniva sfruttato dagli ingegneri romani per riscaldare i bagni dei complessi termali. Dalle rovine si rinviene un canale scavato per accedere agli sfiati di vapore del terreno: quest’ultimo entrava in una sala, convogliato nel sistema di riscaldamento tipico delle terme romane, detto ipocausto, mentre il pavimento era sollevato in modo che il vapore potesse circolare e riscaldare l’intera zona.

Baia - Statua nel fondale marino

Simili sale, altrove, erano riscaldate attraverso delle fornaci artificiali, ma la bellezza e l’esclusività di Baia risiedevano proprio nel riuscire a sfruttare una risorsa naturale come la presenza dell’acqua fino a 85°C, capace di generare calore senza fumo. È noto che, ovunque vi fosse una sorgente calda, i romani amavano costruirvi un complesso termale, uno dei quali – noto come “le stufe di Nerone” – è ancora funzionante dopo oltre duemila anni: esse hanno mantenuto la struttura di un bagno romano tipico, procedendo da una camera fredda al tepidarium, con temperatura più moderata, fino al calidarium, la stanza calda, che in molti casi rappresentava l’ultimo step delle terme, in altri era seguito da una sauna umida o asciutta.

Piscina termale sommersa di Baia
Parco archeologico sommerso di Baia

Il ritrovamento delle antiche piscine termali – denominate pilae dagli studiosi, risalenti al 44 a.C., tra la fine dell’età repubblicana e le prime fasi dell’età augustea – è stato possibile grazie a un progetto di ricerca condotto dalla IULM (Istituto Universitario di Lingue Moderne) di Milano. Di pertinenza di una di queste lussuose ville ai piedi del castello aragonese di Baia, queste vasche semicircolari erano riempite soprattutto con acqua di mare, ma gli archeologi hanno trovato anche serbatoi e canali attraverso i quali era possibile pompare acqua dolce.

L’annuncio di tale scoperta è arrivato in concomitanza con l’avvio del coordinamento del progetto di ricerca “Il mare dei Titani”, finanziato dalla stessa IULM e dal Parco archeologico dei Campi flegrei, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Napoli, rientrante nel novero delle iniziative avviate nel 2018 e finalizzate alla ricerca, alla valorizzazione e alla comunicazione del patrimonio archeologico inabissato nel golfo di Pozzuoli.

Parco Archeologico Terme di Baia

Le campagne di prospezioni subacquee, dirette da Filippo Avilia, docente di archeologia subacquea nonché direttore tecnico della sezione Marenostrum di Archeoclub d’Italia, mirano al rilevamento delle presenze geologiche e archeologiche antistanti il costone del castello, allo scopo di comprendere come la struttura potesse integrarsi con le altre opere già individuate nel parco, oggi sommerso a 51 metri sotto il livello del mare: come conclude lo stesso Avilia, «l’archeologia delle acque è anche e soprattutto conoscenza del paesaggio e dell’impatto uomo-ambiente».

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