U’Mauru, il gin a base di alga autoctona siciliana

di Martina Grandori

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ui, Massimo Mirabella, 49 anni, catanese, è il ritratto del siciliano illuminato, di quegli uomini innamorati della loro terra che riescono a trarre idee vincenti dal loro territorio. Nasce così, dalle scogliere vulcaniche nei dintorni di Catania U’Mauru, gin a chilometro zero vincitore dell’ambita ampolla d’oro della guida Spirito Autoctono.

Massimo Mirabella arriva dal raffinato mondo della moda, negli anni Novanta ha cavalcato l’onda del boom portando in Sicilia marchi di alta gamma, poi nel 2012 lascia il fashion system e si butta in un’altra impresa: Stecco Natura, gelaterie artigianali di altissimo livello. È un successo, tant’è che nel 2018 vende tutto, “un fortuita fortuna se ci ripenso, con la pandemia sarebbe stato difficile gestire i tanti punti vendita in Italia e nel mondo”. E proprio durante la pandemia arriva una nuova, folgorante idea.

“Stavo facendo jogging lungo la scogliera catanese con mia moglie Giusi e le mie figlie Giada e Martina, ad un tratto quell’odore forte, inequivocabile, nostrano di alghe mi pervade. Riaffiorano subito i ricordi di quando da ragazzino andavo con gli amici a mangiare per strada le alghe accompagnate dal succo di limone” racconta al telefono l’imprenditore catanese.

Une petite Madeleine molto forte, dopo 12 mesi di studi arriva il brevetto per U’Mauru, gin a base dell’omonima alga rossastra che cresce solo su scogli vulcanici dove l’acqua salata incontra l’acqua dolce, e solo dove è pulita.

Un mix di condizioni dove il rispetto per l’ambiente è fondamentale, la Chondrachantus teedei è a rischio, per questo il metodo con cui va raccolta è importantissimo per la sua preservazione. “Il mio pescatore Rosario, con tanto di licenza, la preleva solo a mano e in posti segreti che nemmeno io conosco preoccupandosi sempre di lasciarne un po’ per il suo ripopolamento”, ci tiene a precisare l’imprenditore.

Cresce in un particolare tratto lungo 19.9 chilometri che unisce Catania ed Acireale, contraddistinto dalla costa che si getta a strapiombo nel mare, uno scenografico e irripetibile panorama dove i toni scuri della roccia vulcanica si perdono nelle sfumature di azzurro dell’acqua.

Da secoli l’alga U’Mauru è il piatto povero dei pescatori, un’insalata condita con olio e limone, ricchissima di sali minerali che ancora in qualche ristorante servono. La raccolta? “Inizia con la festa di Sant’Agata a marzo, fino a luglio, la si trova ad una profondità che varia da mezzo metro a due metri, dopodiché viene trattata per essere poi lavorata insieme al ginepro dell’Etna”.

Ma torniamo al gin U’Mauru, la commestibilità di ciascuna bottiglia viene certificata effettuando analisi microbiologiche certificate dalla Regione Sicilia, la produzione avviene a Ragalna, frazione ai piedi dell’Etna. “Il vulcano per ha un significato molto inteso, ho creato una bottiglia fatta a mano in serie limitata fatta con cenere vulcanica” racconta orgoglioso.

Il legame con il territorio è un tratto distintivo di questa etichetta volutamente di nicchia, il nero è un immediato remind emotivo e tattile alla lava, a quel colore tipico delle scogliere che accompagna nel viaggio sensoriale che è l’apertura del tappo. “Ho chiesto a Emanuele Lo Faro, specializzato in tappi artigianali una chiusura che fosse in grado di mantenere intatto quell’odore di salsedine, di iodio, del mio mare all’apertura di ciascuna bottiglia. E lui ha esaudito il mio desiderio”.

Sono Martina Grandori, vivo quotidianamente con il senso dell’umorismo e alla ricerca dell’estetica, tento di migliorarmi ogni giorno in nome di una magica evoluzione, nutrendo il mio giardino degli interessi. Adoro scrivere, lo faccio da vent’anni in qualità di giornalista specializzata in lifestyle, prestata poi al mondo dell’ambiente e della sostenibilità. Sono madre di due bambine che hanno rivoluzionato la mia vita in positivo, da sempre vivo nella bellissima Milano, città che adoro perché ha moltissimo da offrire oltre allo smog.

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