
di Redazione
a oltre un quarto di un secolo, il 17 giugno si celebra la Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità "Desertification and Drought Day".
Una data istituita nel 1995 dall’Assemblea Generale dell’ONU, che si prefigge tra i suoi obiettivi la sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito alla duplice – seppur d’identica matrice – questione: la diffusione di ogni novità relativa a studi e aggiornamenti riguardanti l’esigenza di prevenire il degrado del suolo, garantire la sicurezza dei Paesi minacciati da tali calamità e assicurare l’approvvigionamento di risorse imprescindibili come aria, cibo e acqua. Un recente rapporto della FAO, infatti, ha messo in evidenza che il suolo in cattiva salute attraversa tutti i confini e compromette ciò che respiriamo, mangiamo e beviamo.

In particolare, la corretta gestione dell’acqua costituisce un tema di assoluta urgenza. Non a caso, due anni fa è stata inserita nelle denominazione della Giornata l’appendice “siccità”: solo nel 2019 ne è stato rilevato l’aspetto fino a quel momento troppo trascurato ma in realtà di prioritario interesse, in quanto fornisce lo spunto per riflettere sulla gestione presente e futura delle risorse idriche, il cui destino dipende inequivocabilmente dalla sostenibilità di produzioni e consumi. Infatti, se il termine siccità corrisponde banalmente alla scarsità di acqua che si protrae per un periodo di tempo eccezionalmente lungo, le cause nemmeno troppo recondite derivano da una pessima gestione umana: dal non più sostenibile sfruttamento intensivo delle coltivazioni che esauriscono il suolo – circa un terzo della superficie terrestre è caratterizzata da terreni aridi – all’eccessivo pascolo del bestiame che rende quest’ultimo più compatto, passando per l’abbattimento degli alberi, i quali trattengono il manto superficiale del terreno, e talune pratiche errate di irrigazione.


Coerentemente con il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile 2021-2030 proclamato dalle Nazioni Unite, il tema scelto quest’anno “Restoration. Land. Recovery. We buid back better with healthy land”, si concentra sulla trasformazione dei terreni da degradati a fertili, il cui fine garantirebbe diversi vantaggi: su tutti un contributo al recupero e alla tutela della biodiversità, ma anche un incremento della resilienza economica, fondamentale per creare posti di lavoro, aumentare i redditi e di conseguenza la sicurezza alimentare. Tutto ciò senza dimenticare il sostenimento post-pandemia della ripresa verde: «Il ripristino del territorio – dichiara in proposito Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo della Convenzione ONU per combattere la desertificazione – può contribuire notevolmente alla ripresa economica dopo l’emergenza epidemiologica da Covid-19». «La crescita economica dipende dal nostro pianeta – aggiunge il presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Volkan Bozkir – e va trovato un giusto equilibrio tra esigenze economiche, sociali e ambientali».

Come precedentemente accennato, l’attenzione si focalizza soprattutto sulla corretta gestione delle risorse idriche che, seppur rinnovabili, sono disponibili in quantità limitata a causa di svariati fattori che contribuiscono ad accrescere la competizione per il loro approvvigionamento. L’intensificazione dei cambiamenti climatici – il cui impatto è sempre più preoccupante: basti pensare che negli ultimi quarant’anni hanno provocato una diminuzione di circa il 30% della capacità di ritenzione idrica dei terreni agricoli –, lo sviluppo delle produzioni industriali e la crescita della popolazione mondiale sono tutte cause del cosiddetto “stress idrico” a cui sottostanno diverse regioni del mondo. Gli studi in materia prevedono che oltre due terzi della popolazione mondiale affronterà la crisi idrica entro il 2025, mentre le stime più allarmanti segnalano la scarsità idrica come un fenomeno già in atto.

Per questo, anche il mondo delle imprese ha cominciato ad affrontare concretamente la faccenda, attivandosi per risolvere tutti i rischi connessi a una gestione poco attenta dell’acqua: rischi di natura economica, legati principalmente all’accesso alla risorsa; di tipo legale, in cui rientrano i limiti qualitativi delle acque di scarico; di immagine, legati in particolare alla sensibilità dei consumatori nei confronti delle risorse naturali – e più in generale verso l’ambiente, secondo il rapporto stilato nel 2006 dal World Business Council for Sustainable Development – consolidatasi negli ultimi tre lustri.


A questo scenario si aggiunge l’incentivazione dell’innovazione idrica attraverso l’evoluzione tecnologica, sollecitata dalle azioni coordinate che ha fissato in agenda l’Unione Europea, consapevole che assicurare in futuro la sicurezza idrica del continente rappresenta un traguardo che non può essere tagliato senza un impegno coordinato; l’Italia, ad esempio, non sarebbe mai in grado di portare avanti individualmente progetti e soluzioni finalizzate alla risoluzione di tale problematiche in Sicilia, regione ad altissimo rischio di desertificazione e siccità. Con il progresso si punta a ottimizzare nuovi processi di trattamento delle acque reflue, meglio note come acque “di scarico”, consentendone il riciclaggio almeno nel settore industriale che abbatterebbe gli sprechi; ad attuare una migliore e più efficiente irrigazione nel settore agricolo; a studiare geotecnologie innovative per l’immobilizzazione dei metalli tossici nelle falde acquifere sotterranee e nei pozzi d’acqua potabile. In altre parole, a finalizzare tutto nell’ottica di una direzione razionale che massimizzi l’efficienza idrica.

La corretta gestione delle risorse idriche rappresenta una tra le principali sfide del futuro che, stimolando un forte coinvolgimento della comunità e la massima cooperazione a ogni livello, mirano proprio a centralizzare e incanalare gli sforzi internazionali. In altre parole, scelte responsabili simultanee da parte di governanti e governati devono confluire in favore di consumi sostenibili e, dunque, di un cambiamento degli stili di vita sin qui condotti. In mancanza di un’inversione di rotta, il 90% degli ecosistemi rischia una radicale trasformazione entro il 2050: uno scenario che sconvolgerebbe, con ogni probabilità in modo irreversibile, gli equilibri idrologici dell’intero pianeta.