Tra reale e fake: il mistero dei buchi neri negli oceani

di Manuel Gavini

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li oceani ricoprono più del 70% dell’intera superficie terrestre, contengono il 97% di tutte le acque del pianeta e, talvolta, celano anche profondi misteri: maree di un rosso acceso, anomalie acustiche, creature da incubo che si aggirano nelle oscurità degli abissi.

Tra questi enigmi, ce n’è uno che negli ultimi mesi prevale su tutti: la presenza di quelli che sembrerebbero essere a tutti gli effetti dei buchi neri.

Forse non c’è più bisogno di osservare il cosmo per guardare da vicino un buco nero ben formato e delineato: alcuni scienziati, infatti, hanno trovato qualcosa di molto simile nell’Atlantico meridionale. Nei buchi neri che abbiamo imparato a conoscere, l’attrazione gravitazionale è talmente forte che nulla – nemmeno la luce – può uscire all’esterno, al di là del cosiddetto “orizzonte degli eventi”.

Nei buchi neri oceanici sembra accadere lo stesso fenomeno, con la differenza che, anziché intrappolare la luce, essi trattengono l’acqua. Nei mari esistono mostruosi vortici, detti correnti parassite, che risalgono le acque controcorrente; in tali vortici – alcuni addirittura più grandi di un’intera città, talmente potenti che niente può sfuggirne – turbinano miliardi di tonnellate d’acqua.

Gli scienziati conducono i loro studi aiutandosi con i satelliti: è in questo modo che sono riusciti a mappare i confini di diverse correnti parassite, dimostrando in termini matematici come questi vortici rappresentino l’equivalente degli enigmatici buchi neri cosmici. Le correnti parassite più grandi sono circondate da barriere in cui le acque iniziano a ruotare in cerchio; da lì in poi nessuna corrente sarà più in grado di uscire.

Piuttosto, se proprio il popolo di Internet volesse mettersi sulle tracce di un così agognato mistero, potrebbe chiedersi il perché dell’oscuramento di quella immagine, non ritenendo credibile nel contesto la presenza di una formazione naturale completamente nera. Ad ogni modo, in attesa di un eventuale comunicato chiarificatore di Google – che con ogni probabilità non arriverà mai – la risoluzione del caso sembra essere, almeno stavolta, quella meno attraente ma decisamente più credibile.

Discorso simile sembrerebbe valere per il buco nero individuato nel bel mezzo dell’oceano Pacifico, anche se in questo caso la scoperta, molto più recente, è di natura più “folkloristica” che scientifica. Tutto è nato dallo screen di un curioso esploratore da tastiera, riportante uno strano frame di Google Maps, che ha dato adito al popolo del web di sciorinare le più disparate teorie, rigorosamente homemade. Tra le ipotesi più strambe generate da quel fermo immagine tratto dalla visualizzazione satellitare di Maps, raffigurante un triangolo isoscele nero circondato da un bordo bianco, spicca quella secondo cui si tratti proprio di un buco nero, contornato dalla spuma dell’acqua inghiottita dall’apertura.

Incoraggiati dalla diffusione dell’immagine senza coordinate, altri hanno ipotizzato un filtro messo a punto da Google per impedire ai curiosi di accedere ai segreti della Terra, ma anche qui si potrebbe obiettare sulla stranezza di voler censurare, peraltro dopo averlo reso accessibile universalmente, un qualcosa che – come visto sopra – è già al vaglio degli scienziati. La realtà non porta a nessun ipotetico triangolo delle Bermude-bis, sulla falsariga di quello realmente esistente nell’Atlantico settentrionale, né all’isola della famosa serie televisiva Lost, tantomeno a censure o forme extraterrestri: quello mostrato è infatti il disabitato atollo di Vostok, appartenente alle Sporadi equatoriali (meglio note come Line Islands), nella repubblica oceanica di Kiribati.

Piuttosto, se proprio il popolo di Internet volesse mettersi sulle tracce di un così agognato mistero, potrebbe chiedersi il perché dell’oscuramento di quella immagine, non ritenendo credibile nel contesto la presenza di una formazione naturale completamente nera. Ad ogni modo, in attesa di un eventuale comunicato chiarificatore di Google – che con ogni probabilità non arriverà mai – la risoluzione del caso sembra essere, almeno stavolta, quella meno attraente ma decisamente più credibile.

Mi chiamo Manuel, ho 33 anni e osservo da sempre con interesse ogni forma acquatica generosamente offerta dalla natura. Laureato con lode in Relazioni Internazionali nel 2012, dal gennaio successivo sono iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Il mio hobby preferito è viaggiare, ovunque, ma quando devo scegliere tra mare e montagna non ho dubbi: il richiamo dell’acqua è troppo forte! In questa foto mi trovo a Capri, durante la mia ultima vacanza "on the blue", immerso nell’inestimabile panorama con vista Faraglioni.

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La parola acqua deriva dal latino “aqua”, che a sua volta ha una radice indoeuropea, la stessa della parola onda, che passando dal greco diventa “unda” in latino.

Acqua e onda: ovvero identica radice linguistica per due elementi che non possono esistere l’uno senza l’altro. 

 

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