
Tokyo2020: le attese disattese, perché Benny Pilato deve guardare avanti
Intanto arrivano le prime medaglie nel nuoto: le firmano Miressi, Ceccon, Frigo e Zazzeri nella 4×100 d’argento e Martinenghi bronzo nei 100 rana
di Roberto Parretta
a 4x100 stile d'argento e Nicolò Martinenghi di bronzo. Alla seconda giornata di finali, sono arrivate le prime medaglie azzurre dalla vasca del nuoto.
Le hanno firmate i 4 moschettieri della staffetta veloce, Andrea Miressi, Thomas Ceccon, Manuel Frigo e Lorenzo Zazzeri, che hanno riscritto la storia della specialità portando l’Italia dove mai era arrivata. E’ la seconda staffetta azzurra nella storia a salire sul podio olimpico, dopo il bronzo della 4×200 ad Atene 2004 (Massimiliano Rosolino, Filippo, Magnini, Simone Cercato ed Emiliano Brembilla ). Con un 3’10″11 che vale il record italiano e che ha permesso agli azzurri di mettersi alle spalle l’Australia di Kyle Chalmers (3’10″22). L’oro è andato agli Stati Uniti in 3’08″97 del fuoriclasse Caleb Dressel. Nei 100 rana è quindi arrivata l’impresa di Martinenghi, che in 58″33 è arrivato terzo, ma, se vogliamo, primo degli umani: bis olimpico d’oro per il britannico Adam Peaty in 57″37 e argento all’olandese Arno Kamminga in 58″00.






Medaglie arrivate in una giornata che era iniziata (in Italia) con l’amarezza dell’eliminazione di Benedetta Pilato al primo turno dei 100 rana femminili ai Giochi di Tokyo 2020. La 16enne tarantina, arrivata all’Olimpiade con forti ambizioni, reduce da due stagioni di clamorosa crescita, ha nuotato in maniera contratta e disordinata, come mai si era visto, chiudendo con un crono di 1’07″36, lontanissima dal suo personale e lontana anche dalla sedicesima e ultima qualificata alle semifinali: la squalifica per gambata irregolare non ha quindi cambiato la sostanza. Ma cosa le è successo? Noi ci permettiamo di avanzare un’ipotesi: le tantissime pressioni, l’enorme attenzione, al di là di un atteggiamento di facciata sempre sicuro, l’hanno fatta salire sul blocchetto con un inatteso peso sulle spalle. Alla sua prima Olimpiade, le si chiedeva subito la gloria. Gliela chiedeva soprattutto chi di nuoto poco capisce e chi l’ha “usata” per riempire pagine e copertine. Conoscendo il suo nuoto, apprezzandone le fantastiche doti, è sembrato evidente dalle prime bracciate che in acqua non fosse scesa tranquilla. E quindi cosa si può fare ora? Assolutamente niente, Benny deve archiviare il cattivo risultato, con la consapevolezza che altri ne arriveranno ancora in futuro, e rimettersi a lavorare come ha sempre fatto con la serenità che il suo allenatore Vito D’Onghia le saprà certamente trasmettere.

Perché il peso della responsabilità può schiacciare anche un campione olimpico. E se il campione olimpico è anche un teenager, allora le cose si possono ulteriormente complicare. Di esempi, restando solo alle ultimissime edizioni dei Giochi, ce ne sono almeno due eclatanti. La statunitense Missy Franklin a 17 anni a Londra 2012 vince 5 ori e un bronzo, ma a Rio 2016 è un fallimento (c’è un oro nella staffetta, ma partecipa solo alla semifinale). Proprio a Londra i tifosi di casa si aspettavano faville da Rebecca Adlington, che a Pechino vince 2 ori che diventano 2 bronzi all’Olimpiade di casa. E oggi a dimostrare che per una teenager mantenere un livello costantemente alto c’è la canadese Penny (all’anagrafe Penelope) Oleksiak: arriva a Rio de Janeiro appena compiuti i 16 anni, vince clamorosamente l’oro nei 100 stile, l’argento nei 100 farfalla e 2 bronzi con le staffette. Poi ai grandi eventi non si ripeterà più, portando a casa dai Mondiali di Budapest 2017 e Gwangju 2019 solo 5 bronzi con le staffette. Ma cosa le era successo? «Ho fatto fatica a sentirmi quel “campione olimpico” associato al mio nome. Andavo alle gare spaventata. Ora per fortuna è diverso: è diventata una motivazione, se l’ho fatto, vuol dire che posso farlo ancora». E ai Giochi di Tokyo l’ha dimostrato, trascinando il Canada a un clamoroso argento nella 4×100 stile.

E per trascinare, s’intende il vero senso della parola: quando la Oleksiak si è tuffata per l’ultima frazione, davanti a lei c’erano Australia, Svezia e Stati Uniti, ma poi sulla piastra d’arrivo si era messa alle spalle la svedese e preceduto di 3 centesimi anche la statunitense Simone Mauel (con la quale aveva vinto l’oro ex-aequo a Rio), nuotando in 52″26. «Mi sentivo gli occhi di tutti addosso e mi ero convinta che qualsiasi cosa avessi fatto, non sarebbe mai stato abbastanza», raccontava Penny un paio di mesi fa. Adesso toccherà a Benny trasformare la pressione che forse l’ha schiacciata, in forza per riemergere. D’altronde anche nei nomi, tra Penny e Benny, si potrebbe leggere un destino comune. Forza Benny, Parigi ti aspetta già!
E infine, in questo breve stralcio da Twitter, le parole di Penny Oleksiak e la lezione impara dall’incontro con Michael Phelps.

Credits:
CONI – Fotografo Simone Ferraro – GMT
FEDERNUOTO – Fotografo Giorgio Scala – Deep Blue Media
CFP – Fotografo Pino Fama