Il volo di Andreas: «Mi tuffo su Tokyo»

Da domani in gara in Giappone per le qualificazioni olimpiche ci sarà anche il 20enne di origini danesi: «A 16 anni avevo smesso l’Italia ha creduto in me»

di Roberto Parretta

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hissà cosa pensano i tuffatori quando salgono quelle rampe di scalette che portano in cima alla piattaforma dei 10 metri. Chissà cosa pensano prima di un tuffo importante, in una gara importante.

Magari nella gara che ti può regalare un biglietto per le Olimpiadi. Chissà cosa pensano. Quel percorso domani Andreas Sargent Larsen lo farà pensando che oltre c’è in ballo la sua prima partecipazione ai Giochi? «Di solito si pensa alle cose tecniche da fare, alla routine da seguire: per esempio io sto attentissimo ad asciugare tutto il corpo, soprattutto le gambe, perché devo evitare il rischio che mi possano scivolare in aria». Si sale senza nessuna paura, anche se hai appena compiuto 22 anni e ti stai giocando una bella occasione.

Andreas Sargent Larsen è nato e cresciuto a Copenhagen (in Danimarca), ma grazie alla mamma ha sempre avuto passaporto italiano. È grazie a quel passaporto che domani all’Aquatic Center di Tokyo inseguirà un primo pass assieme a Eduard Timbretti nel sincro piattaforma, evento di apertura della FINA Diving World Cup. «Mamma – ci racconta Andreas – aveva vissuto per 12 anni in Italia prima di andare a lavorare in Danimarca, dove ha incontrato papà: quindi, quando sono nato, ho ereditato la cittadinanza italiana». Cittadinanza che gli ha offerto una seconda chance: «Eravamo a una gara giovanile in Germania, avevo vinto e come sempre accade alla fine i vari allenatori delle altre squadre si erano andati a congratulare con i colleghi. E il mio vecchio allenatore quando si ritrovò a parlare con la collega italiana le disse che avevo la cittadinanza. Quell’allenatrice era Benedetta Molaioli. La storia si chiuse lì. Poi nel 2016 io decisi di smettere: in Danimarca non c’è molto supporto se studi e pratichi uno sport che non sia il calcio, mi pagavo addirittura da solo le trasferte con la nazionale. Benedetta mi scrisse perché aveva saputo e mi offrì la possibilità di venire in Italia. Così sono arrivato all’Aniene, in un ambiente dove sono più tutelato. E sei mesi fa sono entrato anche nel gruppo sportivo delle Fiamme Oro».

Andreas è fra i 10 azzurri che il c.t. Oscar Bertone ha portato a Tokyo per questa travagliatissima edizione della FINA Diving World Cup, rinviata per ben 4 volte a causa della pandemia. Cinque le ragazze e altrettanti i ragazzi: l’unica già qualificata ai Giochi è Noemi Batki (Esercito/Triestina Nuoto), poi Elena Bertocchi (Esercito/Canottieri Milano), Maia Biginelli (Fiamme Oro), Sarah Jodoin Di Maria (Marina Militare/MR Sport), Chiara Pellacani (Fiamme Gialle/MR Sport), Andreas Sargent Larsen (Fiamme Oro/Canottieri Aniene), Lorenzo Marsaglia (Marina Militare/Canottieri Aniene), Giovanni Tocci (Esercito/Cosenza Nuoto), Eduard Timbretti Gugiu (Blu 2006) e Maicol Verzotto (Fiamme Oro/Bolzano Nuoto). Diversi i criteri di qualificazione: nelle gare sincronizzate conquisteranno il pass per Tokyo le quattro migliori nazioni, escluse quelle già qualificate, mentre nelle gare individuali per volare a Tokyo bisognerà entrare nelle semifinali. Andreas sarà in gara prima dalla piattaforma sincro con Timbretti (eliminatore alle 5.30 italiane di domani mattina) e poi ovviamente nella prova individuale (eliminatore alla stessa ora di lunedì): 18 le coppie in gara nel sincro, ben 53 nell’individuale.

In un clima davvero inusuale, complici le rigidissime misure anti Covid, che Andreas ci racconta così: «Quando siamo arrivati in aeroporto ci hanno subito fatto i tamponi, poi ci hanno portato in un hotel dove sono sistemate tutte le nazionali. Noi siamo tutti sullo stesso piano: non si può uscire dalle stanze se non chiedendo complicati permessi, anche i pasti ci vengono consegnati in camera. In tutti questi giorni non abbiamo visto nessun altro, quindi devo dire che il piano è efficace. All’allenamento si va divisi in gruppi su bus che ospitano al massimo 20 persone, quindi noi italiani andiamo sempre insieme e da soli. In piscina ci sono orari ferrei per palestre e acqua, nessuno incontra gli altri. Questo è un aspetto che mi manca tantissimo: negli anni con le giovanili ho conosciuto molti atleti ed è un peccato non poterli incontrare, socializzare, parlare. Mi dispiace, ma mi rendo conto che se vogliamo gareggiare non si può fare altrimenti. Non possiamo lamentarci. L’Aquatic Center di Tokyo è senza dubbio la piscina più bella in cui sono mai stato, è enorme e devo dire che vuota fa una stranissima impressione. Senza pubblico non può essere la stessa cosa». Il rinvio di un anno dell’Olimpiade, ammette Andreas, è stato per lui un vantaggio: «Sono giovane, quindi un anno in più di lavoro mi ha fatto bene. Sono migliorato tantissimo e mi sento in gran forma. Ci proverò per tutti e due i pass, anche se nell’individuale sembra più facile. Me la gioco. Non vedo l’ora di fare il primo tuffo per sciogliere quell’ansia che abbiamo dentro da così tanto tempo, visto che è un anno praticamente che aspettiamo questa Coppa del Mondo e ho voglia di sentire quella sensazione di gara importante. I miei riferimenti? Quando ero piccolo l’idolo era l’inglese Tom Daley, che ha una storia speciale, poi quando sono cresciuto e diventato bravo non ho più avuto una figura da ammirare, piuttosto cerco di apprendere cose diverse da tuffatori diversi. Sto ore davanti a Youtube a guardare tuffi, c’è sempre tanto da imparare».

Ma perché i tuffi? «In realtà a Copenhagen facevo nuoto in una piscina comunale. Alla fine dell’allenamento andavo però sempre sui trampolini a fare tuffi e capriole. Un giorno un signore che mi aveva osservato mi invitò a provarci seriamente. Allora mio nonno che aveva una passione per tutti gli sport cercò una società vicina dove potermi allenare. È stato uno sport che mi ha preso subito. Non mi ricordo la prima piattaforma, ma già allora guardavo i video e mi veniva spontaneo provare le cose: ero piccolo e non pensavo tanto alla paura. Mettevo le insicurezze da una parte e provavo qualsiasi cosa, anche se non ero in grado. Quando guardo l’acqua lì sotto, sporgendomi in punta di piedi, cerco di immaginare il punto esatto dove entrare. Il tuffo è adrenalina, è libertà, è come volare». Ma anche dalle grandi altezze? «Dico solo una cosa: una volta a un evento in Danimarca sono salito sulla piattaforma a 27 metri: mi ha fatto impressione, non lo farei mai. Quelli lì sono fuori di testa…». A tutto c’è un limite, Andreas.

Ho iniziato ad appassionarmi di sport dalla nascita e da 20 anni sono collaboratore della Gazzetta dello Sport. Ho seguito tantissime discipline: principalmente rugby (corrispondente in 3 edizioni dei Mondiali in Francia, Nuova Zelanda e Inghilterra e tutti i Sei Nazioni dal primo del 2000), poi fra gli altri equitazione, taekwondo, surf, atletica leggera e ovviamente anche nuoto. I miei risultati sportivi di maggior rilievo? Ultimo nelle batterie dei 50 stile libero al memorial Boscaini del 1985 e medaglia di bronzo al Settecolli 2019 nei 50 stile dei giornalisti!

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