Lo Stivale sott’acqua a fine secolo? Uno scenario controverso

di Redazione 

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ono ormai sotto gli occhi di tutti i rischi connessi agli effetti da inquinamento atmosferico, surriscaldamento globale e cambiamento climatico in essere, ma l’evoluzione degli studi aggiorna a più riprese le conseguenze che interessano il nostro pianeta, tra cui le aree geograficamente a noi più vicine.

Ne sono un esempio i recenti dati ENEA: l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile evidenzia che a mettere a rischio le nostre spiagge – e, in alcuni casi, intere città costiere – sarà l’innalzamento del Mediterraneo, stimato in +30 centimetri negli ultimi mille anni, ma con una sensibile accelerazione del fenomeno nei prossimi 80-100.

Nel periodo in questione è prevista una triplicazione del livello medio globale degli oceani, che fino ai primi anni Novanta si è innalzato in media di 1,7 millimetri ogni 12 mesi, prima dell’effetto serra che ha portato a un picco quasi raddoppiato, giunto a quota 3,2 millimetri di aumento annuo.

Un rischio percepito ancora lontano, e in effetti le stime contemplano scenari potenzialmente devastanti solo in un’ottica a lunga gittata, tra la fine del secolo in corso e l’inizio del prossimo. Eppure, le ricerche attengono al campo della scienza e per rispetto della stessa vanno riportate. E tra di esse è contemplata anche l’ipotesi di massimo rischio: l’inabissamento della penisola italiana. 

Costa Santa Maria di Leuca, Puglia

Lo Stivale sott’acqua nel 2100 appare uno scenario remoto e sicuramente lo è. Tuttavia, va rilevata un’analisi sulla falsariga di quanto visto con le isole Tuvalu (deep link: https://ontheblue.it/la-isole-tuvalu-saranno-la-prima-nazione-digitale-al-mondo/), nonostante ad oggi le due situazioni non siano nemmeno lontanamente comparabili viste le criticità dell’arcipelago collocato tra le Hawaii e l’Australia, dove l’Oceano Pacifico ha già sommerso due dei nove atolli.

Isole Tuvalu
Isole Tuvalu

Sono oltre 30 le zone a rischio, a partire dalla costa nord dell’Adriatico, tra Trieste e Ravenna, e nell’entroterra dalla Romagna al Veneto. Una situazione non troppo migliore si riscontra scendendo nelle pianure della Versilia e da lì verso il centro, tra Fiumicino e le piane Pontina e di Fondi, senza trascurare quelle del Sele e del Volturno. Secondo questa visione, rischiano di essere inghiottite dalle acque anche le zone costiere di Cagliari e Oristano e, nel profondo sud, di Catania.

Uno scenario meno traumatico dell’inabissamento racconta di rischi più contenuti, relativi a periodici allagamenti nelle città che si affacciano sul mare. Secondo gli studiosi a sostegno di questa tesi, i confini italiani non subiranno un ridimensionamento causato dal sopravanzare delle acque, più veloce di quanto auspicato ma non nelle misure apocalittiche di cui si parlava poc’anzi.

La versione più ottimista, infine, è quella prospettata dagli scienziati che sostengono ci sia ancora ampio margine per limitare questo catastrofico trend, a patto che si ricorra a una rinnovata quanto necessaria politica globale, mirante a ridurre la presenza di materiali inquinanti nell’atmosfera. Nessuna nuova Atlantide, dunque, per i fautori dell’ultima ipotesi: la fisionomia dell’Italia non sarà stravolta e Venezia resterà l’unica città sommersa di tutta la penisola.

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