L’arte dell’intreccio, un patrimonio da tutelare

di Martina Grandori

S

i parla sempre di più del valore intrinseco dell’artigianato italiano, di quel savoir faire che da semplice lavoro, oggi, è diventato un qualcosa di più, una forma di cultura, un tramando di saperi, astuzie e bellezza.

Un patrimonio che si cerca di tutelare soprattutto in quelle località dove il fare a mano è ancora un’espressione imprenditoriale che si tramanda di padre in figlio. Fra le tante che l’Italia conosce, c’è l’arte dell’intreccio per la cattura dei pesci, manufatti meravigliosi che i pescatori costruiscono da soli utilizzando determinati arbusti resistenti e con una fibra elastica, caratteristiche molto adatte a questo tipo di lavorazione.

Castelsardo, Sardegna

In Sardegna, nel meraviglioso borgo di Castelsardo, esiste un museo che racconta molto bene questo forma d’arte popolare, l’arte dell’intreccio che in passato dava da lavorare alle comunità e che oggi resiste grazie ad un sapiente lavoro: a nasse, fassoni, reti e altri strumenti è dedicata una sezione del Museo dell’Intreccio Mediterraneo dove chi ha la curiosità di scoprire novità, qui verrà sicuramente accontentato.

Nassa, Museo dell'intreccio Mediterraneo
Nassa, Museo dell'intreccio Mediterraneo

Tutto parte dalla materia prima di cui la Sardegna è abbondantemente fornita: arbusti come il giunco, la canna, l’olivastro ed il falasco, tutte varietà che crescono in zone umide come le lagune o gli argini dei fiumi o su dune sabbiose. Molto resistenti e flessibili, questi arbusti vengono raccolti in precisi momenti dell’anno, fatti seccare e poi lavorati fino a diventare un oggetto.

Sella del Diavolo, Sardegna

L’acqua e l’arte dell’intreccio hanno sempre avuto un legame a filo doppio, solo intorno all’acqua crescono gli arbusti giusti e sono i pescatori, maestri da sempre in questo campo, con la realizzazione a mano delle loro attrezzature. Ecco una carrellata di quelle più famose, di cui alcune ancora oggi utilizzate.

Le nasse hanno varie forme e dimensioni, si realizzano nei mesi invernali quando per forza di cose si esce meno in mare aperto. Fra le fibre più utilizzate, il giunco, raccolto a giugno lungo le coste o nelle zone sabbiose e umide. La fibra si lascia essiccare al sole, in luoghi ventilati e poi conservata in mazzi nei magazzini. Per la struttura portante delle nasse si usano le verghe, ramoni lunghi e sottili di olivastro, mirto o canna e poi cuciti una volta con filo di canapa o lino, oggi con il nylon. La forma è sempre conica, cambia la dimensione a seconda del tipo di pescato.

Nasse sulla spiaggia

I fassoni, stavano alla zona della penisola di Sinis come le gondole a Venezia, dove la pesca lacustre era una realtà vitale e dove queste imbarcazioni erano molto popolari perché agevolavano il lavoro. Fabbricate con fasci di fieno lacustre, legati insieme con corde di giunco intrecciate, a formare corpi di navigazione piatti, lunghi circa 4 metri e larghi uno, hanno la prua appuntita e poppa tronca e ricordano molto delle imbarcazioni in papiro utilizzate dagli egizi.

Pescatori sui fassoni

Le reti sono ancora attualissime, le tonnare di Carloforte sono un esempio di architettura subacquea fatta a mano, nate dal talento delle mani degli uomini del posto. Canapa, cocco, crine di cavallo e altro materiale a seconda delle aree geografiche, vengono incrociate, annodate a distanze regolari per creare maglie romboidali e cucirle in grandi pezze rettangolari, unite poi al momento dell’armatura.

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E in ultimo i marruffi, grosse ceste a forma conica, con fondo piatto (con diametro fino a 2 metri), sostenute da verghe robuste, utilizzate per tenere in vita le aragoste. Di dimensioni minori, ma ugualmente robuste le anciusas, tipiche dell’oristanese, grosse nasse destinate alla conservazione del pesce in vivo.

Angiulas, Museo dell'Intreccio Mediterraneo

Sono Martina Grandori, vivo quotidianamente con il senso dell’umorismo e alla ricerca dell’estetica, tento di migliorarmi ogni giorno in nome di una magica evoluzione, nutrendo il mio giardino degli interessi. Adoro scrivere, lo faccio da vent’anni in qualità di giornalista specializzata in lifestyle, prestata poi al mondo dell’ambiente e della sostenibilità. Sono madre di due bambine che hanno rivoluzionato la mia vita in positivo, da sempre vivo nella bellissima Milano, città che adoro perché ha moltissimo da offrire oltre allo smog.

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