Il fascino (e i pericoli) del Deep-Sea Mining

di Carolina Saporiti

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uotare tra le balenottere azzurre, esplorare barriere coralline che sono esplosioni di vita, immergersi nel blu profondo: gli oceani sono un universo di meraviglia e mistero.

Ma nascondono anche un altro tipo di tesoro, sempre più ambito e che sta già attirando l’attenzione di industrie del settore minerario e governi: i noduli polimetallici. Questi agglomerati di minerali, ricchi di terre rare e metalli preziosi come cobalto e litio, si trovano sui fondali oceanici, a profondità di 4.000 metri e oltre.

Cosa è il deep-sea mining?

Si chiama Deep-Sea Mining l’estrazione di minerali dal fondale oceanico a profondità che variano dai 200 metri ai 6.500. Queste profondità sono ben al di là di ciò che la luce del sole può raggiungere, eppure nascondono depositi di metalli preziosi come rame, cobalto e oro

Per realizzare questa impresa, vengono utilizzati sistemi idraulici o secchielli che portano i depositi in superficie per la lavorazione. Una nuova frontiera, molto affascinante non c’è dubbio, che promette di fornire materie prime essenziali per la tecnologia moderna, dalle batterie per auto elettriche ai componenti elettronici. Ma che potrebbe avere un prezzo altissimo.

I rischi e le conseguenze del deep-sea mining

I rischi per l’ambiente sono enormi. L’estrazione dei noduli richiede l’impiego di enormi macchinari che potrebbero distruggere gli habitat marini profondi, danneggiando coralli millenari e creature ancora sconosciute. Il sollevamento di sedimenti dal fondo marino potrebbe inquinare le acque, con conseguenze devastanti per l’intera catena alimentare. E per finire, va anche detto che altissimo è anche il rischio di incidenti, con perdite di petrolio o gas che potrebbero avvelenare l’oceano.

Non è solo l’ambiente a essere a rischio, ma anche le comunità costiere. L’estrazione mineraria in acque profonde potrebbe infatti interferire con la pesca e il turismo, due attività vitali per molte economie locali. Gli impatti del Deep-Sea Mining potrebbero essere irreversibili e il tempo necessario per ripristinare gli ecosistemi marini profondi danneggiati dall’estrazione mineraria potrebbe essere di secoli o addirittura millenni.

Altrettanto grave, è il fatto che la biodiversità degli oceani profondi è ancora poco conosciuta. Si stima che oltre il 90% delle specie che vivono in questi ambienti non sia ancora stato identificato. L’estrazione mineraria potrebbe quindi causare l’estinzione di specie ancora sconosciute prima che le si possa studiare.

Cosa possiamo fare quindi? Essere consapevoli è sempre l’arma più importante. Conoscere i rischi del Deep-Sea Mining per chiedere ai governi di promuovere una moratoria sull’estrazione fino a quando non avremo una migliore comprensione degli impatti ambientali. Il riciclaggio dei metalli e lo sviluppo di nuove tecnologie per l’estrazione di minerali da terreni non marini sono due possibili soluzioni che potrebbero ridurre la necessità di estrarre minerali dai fondali oceanici.

Il futuro dei nostri oceani è nelle nostre mani. La scelta è: sfruttarli senza scrupoli o proteggerli per le generazioni future? La sfida è aperta, sperando vinca la saggezza.

Laureata in Lettere Moderne, sono giornalista professionista dal 2011 e vivo a Venezia. Collaboro con diverse testate online e offline. Mi piace scrivere di cose belle e buone: viaggi, cibo&vino, cultura e ambiente. Amo camminare, in spiaggia o nei boschi. Sono curiosa, leggo e prendo sempre appunti.

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