Bioarchitettura: Ricehouse scommette sul riutilizzo del riso

di Martina Grandori

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iso, acqua e innovazione circolare: Ricehouse è una ex start-up che oggi ce l’ha fatta ed è diventata un’azienda, un’azienda virtuosa, fondata ad Antonio Micca (Biella) nel 2016 da Tiziana Monterisi, architetta specializzata in bioarchitettura e una corposa, proficua collaborazione Cittadellarte Fondazione Pistoletto e Alessio Colombo geologo.

Insieme hanno avuto la geniale intuizione, ma anche la perseveranza, di capire come dagli scarti del riso si potesse ottenere a una miscela eclettica adatta al design ma anche alla bioedilizia di nicchia che grazie alla stampa in 3D da forma e volume a progetti versatili. Lolla e paglia grazie alle loro caratteristiche naturali non sono solo perfetti per la bioarchiettura ma rispondono anche ai requisiti per la realizzazione di prodotti trasversali in un materiale naturale e soprattutto sano.

Nel panorama italiano Ricehouse è diventata di uno snodo focale di filiera: in poche parole come trasformare un elemento di scarto in una risorsa, diktat dell’economia circolare e vincere anche il Compasso d’Oro, il Nobel del design nel 2022, con il naturalissimo intonaco Rh120, scelto dallo chef Norbert Niederkofler per il suo ristorante Porto a Milano che sposa la filosofia “Zero waste”.

Riciclabilità, riutilizzo, assenza di sostanze organiche volatili e formaldeide, riduzione di CO2, Made in Italy: ecco i pilastri su cui si basa l’attività di Ricehouse.

Una filiera che parte dalla raccolta di lolla e paglia dall’agricoltore ma anche dagli stabilimenti che trattano il riso con processi industriali, per arrivare al mondo della trasformazione delle materie prime fino ai cantieri.

Il tutto avviene nel raggio di 300 chilometri: si raccoglie lo scarto della lavorazione del riso fra Biella e Pavia per poi lavorarlo e realizzare i loro prodotti fra il Piemonte e il Veneto. Solamente in Italia è presente la metà della superficie risicola europea, le regioni più produttive Lombardia e Piemonte, a seguire in Veneto la zona della bassa Veronese, e in Sardegna la valle del Tirso, senza scordare che questo cereale le cui pianticelle crescono sommerse nell’acqua, è l’alimento principale per tutta la parte asiatica, africana e sud americana del mondo.

In questi paesi in via di sviluppo, i sistemi produttivi basati su colture risicole e l’insieme delle attività post-raccolto a queste associate, forniscono lavoro a quasi 1 miliardo di persone e circa i 4/5 di tutto il riso mondiale provengono dalle attività di piccole aziende agricole di paesi poveri. Ad ogni produzione agricola primaria è associato un notevole quantitativo di materia secondaria, perlopiù inutilizzata, destinata allo smaltimento nonostante in alcuni casi il valore intrinseco di mercato di questo materiale risulti potenzialmente superiore ai costi di gestione e trattamento dello stesso se considerato come rifiuto o scarto di produzione.

La sostenibilità è prima di tutto un investimento nel capitale intellettuale umano e nella consapevolezza dell’impatto che qualsiasi scelta, specialmente a livello industriale, possono avere sul legame territorio-materia-società. La risicoltura, che di natura necessita di moltissima acqua, se gestita in maniera efficiente e con un approccio innovativo può diventare un altro portabandiera di un’agricoltura di punta smaltendo in maniera sostenibile le balle di paglia che grazie ad aziende come Risehouse non vengono più buttate ma re-impiegate nella bioedilizia sotto forma di paglia di riso, economica, naturale, a basso impatto ambientale e molto performante.

Sono Martina Grandori, vivo quotidianamente con il senso dell’umorismo e alla ricerca dell’estetica, tento di migliorarmi ogni giorno in nome di una magica evoluzione, nutrendo il mio giardino degli interessi. Adoro scrivere, lo faccio da vent’anni in qualità di giornalista specializzata in lifestyle, prestata poi al mondo dell’ambiente e della sostenibilità. Sono madre di due bambine che hanno rivoluzionato la mia vita in positivo, da sempre vivo nella bellissima Milano, città che adoro perché ha moltissimo da offrire oltre allo smog.

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