Le fontane di Roma, belle e seduttive: un viaggio acquatico nella Città Eterna
Sono un patrimonio culturale inestimabile le opere di ingegneria idraulica di 2300 anni fa, testimonianza di come i Romani con l’acqua hanno sempre avuto un legame fortissimo. Basti pensare alle fontane della Capitale e al loro valore artistico
di Martina Grandori
accontare Roma con un’eleganza inedita, raccontare i suoi aspetti meno conosciuti e scontati non è un’impresa facile.
L’idea è partita da Rotary Club Acqua Santa attraverso un viaggio affascinante alla scoperta virtuale delle vie d’acqua della Città Eterna: dal Parco degli Acquedotti alle fontane più celebri come Navona e Barberini, fino quelle meno conosciute ma altrettanto curiose dei rioni. “Bastano le fontane per giustificare un viaggio a Roma” scrisse il poeta romantico inglese P.B. Shelley. Per i Romani l’acqua era un dono degli dei, l’urbe fu subito disseminata di luoghi d’acqua e ogni fonte aveva un nume tutelare, le ninfe. Un’importanza suggellata da molte leggende che nel corso dei secoli hanno alimentato il mito di Roma non solo intellettualmente, basti pensare alla scena de La dolce vita di Anita Ekberg che nel 1960 seduce il mondo muovendosi soavemente dentro la Fontana di Trevi o il Fontanone del Gianicolo, protagonista della scena iniziale de La grande bellezza di Paolo Sorrentino.
Monumentali, bizzarre, allegoriche, barocche arredano tutt’ora le piazze più famose o si svelano in angoli nascosti, piccoli e grandi capolavori firmati dai più celebri maestri dell’arte, a conferma che la Città Eterna è la capitale indiscussa dei monumenti d’acqua, un vanto per l’Italia.
Dove c’era l’acqua c’era civiltà, un dato di fatto. Basti pensare al valore delle fontane nelle piazze, espressione di un patrimonio culturale e sociale fortemente italiano che ha aggregato generazioni.
Ma torniamo indietro. Gli antichi Romani si distinsero subito e particolarmente per le loro abilità: sono stati i più grandi ingegneri idraulici del mondo antico, le cui opere ancora oggi sono ancora in uso, con solo a Roma 9 acquedotti che alimentavano 39 fontane monumentali e 591 bacini pubblici. Oggi ci sono ancora più di 2000 fontanelle, i famigerati “nasoni”, che danno da bere a turisti e cittadini.
Voce narrante di questo avvincente percorso esplorativo voluto da Rotary Club Acqua Santa, è Angela Scilimati, esperta d’arte e Presidente Accademia dei Desiderosi del SAPERE di Roma.
Si inizia dal Parco degli Acquedotti passando per le “punte di diamante” celebrate in ogni guida turistica, alle nove fontane rionali, fino alle statue parlanti, usate dal popolo per comunicare con il potere.
Come nei romanzi, tutto parte dal mito di Egeria, ninfa e protettrice delle acque, nonché moglie e musa di Numa Pompilio, secondo re di Roma, che diede anche il nome al ninfeo di Egeria, da cui ancora oggi sgorga l’acqua Fonte Egeria. Quest’acqua veniva considerata sacra, da qui il nome di Acqua Santa, e qui in questo luogo emblematico circondato dal Parco Regionale dell’Appia Antica e il Parco degli Acquedotti, ha sede il Rotary Club. L’altro mito da raccontare assolutamente per cogliere l’importanza dell’acqua per questa civiltà, è quello legato ad una delle tante fonti a cui attinsero, nonché la più antica tra quelle ancora in uso, ovvero la Vergine (19 a.C.). Secondo la leggenda, una giovane fanciulla, vergine appunto, salvò la vita a dei soldati indicando una fonte d’acqua.
Ma il legame con l’acqua non è solo leggendario, precisa la professoressa Scilimati. “Se ci si allontana dalla leggenda e si ripercorre la storia, dalla costruzione del primo acquedotto (Acqua Appia 312 a.C.) e per 850 anni fino all’interruzione del 537 d.C. da parte dei Goti, la città poté contare su una rete idrica senza uguali per abbondanza e qualità dell’acqua”. Un’urbe dove nei secoli chilometri di condotti sotterranei hanno dato vita a grandiose scenografie con cascate e zampilli, il potere seduttivo dell’acqua influenzava re, papi e ovviamente il popolo. E proprio le statue d’acqua sono state utilizzate dallo stesso popolo come strumento di protesta contro il potere. Si chiamano statue parlanti, e sono un gruppo di sculture sparse con i nomi di Pasquino, Marforio, Madama Lucrezia, l’Abate Luigi, il Babuino e il Facchino. E proprio la fontana del Babuino, che ritrae un sileno, chiamato ironicamente dai romani “il babbuino” per il suo orribile aspetto.
I “nasoni”, ovvero le fontanelle d’acqua (più di 2000) che dissetano dall’Ottocento cittadini e turisti, in ghisa, hanno forma iconica cilindrica. Il soprannome “nasoni”? Dal rubinetto ricurvo da cui si beve, ne sono rimasti 3 esemplari caratterizzati dai tre rubinetti con teste di drago, poi sostituiti dall’unica cannella.
Il viaggio si conclude con le peculiari 9 fontanelle rionali realizzate negli anni Venti del Novecento dall’architetto Pietro Lombardi e modellate in modo tale da ricollegarsi direttamente per soggetto al rione o alla piazza in cui erano destinate. Un itinerario per scoprire una città meno turistica, camminando fra viuzze e vicoli e ammirando le botteghe di rione, realtà tipicamente romanesca, un piccolo patrimonio culturale anche quello.