di Manuel Gavini
ome gran parte di ciò che è sotto ai nostri occhi da sempre, anche degli elementi naturali spesso tendiamo colpevolmente a trascurare i dettagli o, ancor peggio, a ignorarne l’essenza stessa.
Nelle scorse settimane si è parlato della scoperta del quinto oceano, concedendo diffusamente il giusto spazio che una notizia di tale portata merita, ma probabilmente non ci siamo mai soffermati a ragionare su quesiti più elementari e da sempre alla nostra portata, del tipo: da dove proviene il nome degli altri quattro? Domanda che, posta sotto una diversa prospettiva, ne sottende un’altra: qual è l’origine degli oceani?
Prima di rispondere, è bene ribadire l’importanza nel nostro pianeta di queste enormi distese di acqua salata, che occupano il 71% della superficie terrestre estendendosi complessivamente per oltre 360 milioni di chilometri quadrati. Esse sono fondamentali nella doppia azione di assorbimento dei gas serra e contestualmente dell’anidride carbonica, da una parte, e di restituzione di almeno la metà dell’ossigeno che respiriamo, dall’altra, motivo per cui gli oceani sono il considerati il polmone essenziale per la sopravvivenza della specie umana.
Le teorie sulle loro origini sono ancora oggi dibattute, ma di certo sappiamo che gran parte delle risorse necessarie per il nostro sostentamento sono contenute nelle acque oceaniche, che rappresentano la più grande riserva idrica del sistema solare, fondamentale per la vita e la tutela della biodiversità con un totale di 10 miliardi di tonnellate di pesci e 230mila specie marine conosciute. In aggiunta a questi dati canonici, in pochi sanno che – oltre alla fauna marina e alla flora altrettanto rigogliosa, visto che il 20% dei fondali è ricoperto dalla barriera corallina – negli oceani transita anche il 97% del traffico web, attraverso cavi debitamente corazzati per non essere danneggiati dagli animali o dalle intemperie.
Del resto, un pianeta senza oceani non sarebbe concepibile, com’è riuscito anche visivamente a mostrare il planetologo James O’Donoghue, il quale ha diffuso un video in cui si evidenzia come il ritiro delle acque farebbe ipoteticamente riaffiorare la superficie terrestre con antichi canyon e catene montuose.
E veniamo dunque alle risposte agli interrogativi di partenza, che rimandano a molti secoli addietro a proposito delle origini etimologiche dei nomi, a partire dallo stesso sostantivo “oceano”: derivante dal greco ωκεανός, nome del dio Okeanós, con esso gli antichi greci usavano definire la grande massa d’acqua che circonda il “disco della Terra”, la cui origine risaliva al di là delle Colonne d’Ercole, l’attuale Stretto di Gibilterra. Oceanus era invece il nome attribuito dai romani, passato attraverso le civiltà che ne reinterpretarono il vocabolo nel corso dei vari secoli fino alla storia contemporanea.
Oggi, come tutti sappiamo, ogni oceano ha un nome. Essi divennero ufficiali nel 1919, durante la Conferenza Idrografica Internazionale di Londra, a cui presero parte 24 Stati: fu il neonato Ufficio Idrografico Internazionale (IHB), con sede nel Principato di Monaco, a fissare le denominazioni e i limiti mantenuti fino ai giorni nostri, occupandosi da quel momento in avanti di uniformare i documenti idrografici e favorire i rapporti tra le relative istituzioni di tutto il mondo.
L’Oceano Pacifico deve l’origine del suo nome a Ferdinando Magellano: la storia narra infatti che, nel novembre 1520, il navigatore portoghese fu costretto ad attraversare tratti di acque turbolente – tra cui quello che sarebbe stato ribattezzato in suo onore lo Stretto di Magellano, in Cile, frapposto fra la massa continentale del Sud America e la Terra del Fuoco – prima di raggiungere venti favorevoli attraverso cui poter beneficiare di un’agevole navigazione in acque calme e tranquille: “pacifiche”, per l’appunto. All’epoca, il celeberrimo esploratore non poteva ancora sapere che, insieme al suo equipaggio, si stava imbattendo nell’oceano più grande del pianeta, con i suoi 155 milioni di chilometri quadrati di area e i 4.280 metri di profondità media (incluso l’abisso terrestre più profondo, la Fossa delle Marianne: quasi 11mila metri a est delle omonime isole)..
Diversi furono invece gli step per l’Oceano Atlantico prima di vedersi riconosciuta l’attuale denominazione, attribuitagli nel corso del VI secolo a.C. dopo essere stato noto per anni come “Oceano Etiope” prima e “Grande Oceano Occidentale” poi. Anche in questo caso lo zampino fu dei greci, i quali riuscirono a identificare la sua area, situata nell’Africa nord-occidentale, attribuendo ad essa l’aggettivo derivante dal nome di Atlante, titano della mitologia greca. E titaniche sono anche le dimensioni: con 106 milioni di chilometri quadrati e una profondità media di 3.646 metri, esso rappresenta il secondo oceano più grande della Terra.
I greci, invece, non riuscirono ad avere la meglio sulla paternità del nome che sarebbe stato attribuito agli oltre 68 milioni di chilometri quadrati (con una profondità media di 3.741 metri) dell’Oceano Indiano: tra essi, che gli attribuirono il nome “Mare d’Eritrea”, e gli indiani, che lo chiamavano invece “Sindhu Mahasagara”, ad avere la meglio fu la definizione del romano Plinio il Vecchio, il quale lo battezzò originariamente “Oceanus Indicus” attorno al 70 d.C., in quanto i suoi limiti bagnavano le coste dell’Indonesia e dell’India.
Infine, con superfici e profondità rispettivamente di 14 milioni di km² per 1.205 metri e 20 milioni di km² per 3.270 metri, l’Oceano Artico e il “neonato” Antartico prendono i loro appellativi dal termine greco ἀρκτικός (“arktikos”), che significa letteralmente “vicino all’orso”, riferendosi – per indicare il primo – alle costellazioni dell’Orsa Maggiore e dell’Orsa Minore, ben visibili dalla regione settentrionale terrestre, e analogamente – per designare all’opposto il secondo – con la semplice integrazione del suffisso “Ant”.