All’Expo 2020, la città in un giardino

di Ludovica De Fazio

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on solo una città del futuro, ma una città per il nostro futuro” È così che si legge sulla presentazione del padiglione di Singapore realizzato per l’Esposizione Mondiale.

Presentato lo scorso ottobre all’Expo 2020 di Dubai, il padiglione di Singapore è sicuramente una delle rappresentazioni più emblematico delle innovazioni architettoniche degli ultimi anni: si prefigge infatti come un prototipo di città che può coesistere con la natura e la storia di Singapore, nello stesso tempo tenta di creare un ecosistema autosufficiente, in grado di integrare natura, innovazione ed architettura.

Progettata dallo studio WOHA Architects, noto per aver ideato architetture green verticali prima che diventassero di moda, e firmata da Salad Dressing, la struttura è stata ideata per accogliere i visitatori in un’oasi “verde” su più piani, contenente più di 8 mila piante curate da un sistema di alimentazione ecosostenibile, realizzato tramite dei tubi solari attraverso i quali passa la luce all’interno delle varie stanze.

Pensato come un progetto a più livelli, l’uno funzionale all’altro, all’interno troviamo la prima base di verde, il Ground Garden, con vaste varietà floreali – circa 170 – che contribuiscono a ridurre il gas serra, a produrre ossigeno, a bonificare le acque piovane e a creare habitat ideali per gli animali.

Proseguendo incontriamo l’Open Sky Market con una tettoia interamente costruita con pannelli solari in grado di generare elettricità e riparare dagli agenti atmosferici.

Ancora, un giardino Pensile, completamente avvolto nel verde verticale e una vasta distesa di orchidee per rendere questo viaggio esperienziale ancora più magico.

Minuscoli robot attraversano le pareti verdi, dotate di sensori e telecamere che monitorano lo stato di salute delle piante e raccolgono dati come umidità e livelli di ossigeno per calibrare al meglio l’irrigazione.

L’acqua viene invece prodotta grazie a un processo di “desalinizzazione” con l’energia solare a osmosi inversa per poi essere utilizzata per l’irrigazione a goccia in modo da ottimizzarne il consumo.

La stessa attenzione è posta nel riciclo dei rifiuti: la struttura si serve di un ecodigestore per gli scarti alimentari, che li depura e ricicla.

Si può quindi sostenere che il padiglione di Singapore sia stato realizzato a consumo netto di energia pari a zero. E non solo, per ridurre l’uso di energia e di altre risorse, sono state implementate diverse strategie passive, come la ventilazione incrociata naturale, l’ombreggiamento e la piantumazione, al fine di creare un clima confortevole per i visitatori e le piante.

Come dichiarano gli stessi architetti di WOHA: «La nostra crisi climatica ci mostra che l’impatto delle azioni umane sul pianeta non può essere ignorato, e che bisogna agire con urgenza. Questo rafforza le aspirazioni del Padiglione di Singapore: progettare un futuro diverso e creare un ambiente sostenibile e resiliente in cui gli esseri umani coesistono con la natura».

L’obiettivo è quello di mantenere l’impatto zero per tutta la durata dell’Esposizione e di far comprendere anche agli altri Paesi partecipanti come strutture autosufficienti e biofiliche possano anche essere accattivanti e funzionali anche dal punto di vista architettonico e di design, adattabili a diversi climi e geografie, flessibili per essere scalate alle diverse esigenze di realizzazione, dalla singola unità fino al quartiere o addirittura una città.

Guardiamo nel dettaglio come sarà la città per il nostro futuro:

Sono una studentessa di chimica farmaceutica, che tra una formula e l’altra, si dedica allo sport, in particolar modo a quello in acqua, luogo che mi appartiene da quando sono piccola e in cui mi sento libera e spensierata. Mi diverto a scrivere, leggere, viaggiare e conoscere posti e sensazioni nuove ogni giorno, per migliorarmi e per apportare sempre un qualcosa in più in tutto quello che faccio. Il mio motto è “Ad maiora” e non a caso vivo e studio nella città dove tutto è più grande e maestoso, Roma

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La parola acqua deriva dal latino “aqua”, che a sua volta ha una radice indoeuropea, la stessa della parola onda, che passando dal greco diventa “unda” in latino.

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Le onde sono un movimento perpetuo, sono il fluido che rappresenta l’impulso positivo al cambiamento.

 

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